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New date of launch: 27/02/2015

Atelier Vidocq announce the new release album: "1"

 

Siamo già ovunque sui migliori stores mondiali

Atelier Vidocq 1 e la sua copertina

Dicono di noi

 

RECENSIONE UFFICIALE DI ALESSANDRO ANSUINI (scrittore e artista multimediale).

Gli Ateleir Vidocq sono Franz Krauspenhaar e Gabriele Lettieri, rispettivamente scrittore e musicista.Sono tempi di lamentazione i nostri, siamo su un crinale dove sembra che la "produzione artistica", di qualsiasi genere, stia venendo compromessa e lentamente inghiottita da un sistema che vede sempre meno riconosciuti i contenuti a scapito di una "condivisione" che nel corso degli anni in cui parliamo, il 2015, sembra avere scritto, sulla carta d'identità, oltre ai segni particolari che sono "condivisione". alla riga occupazione la parola "gratuità". E così narratori, musicisti, pittori e via dicendo si trovano in un momento di enorme "crisi" che però, come vuole la parola giapponese può, a seconda dei casi, trasformarsi in opportunità.

Per esempio, sarebbe mai potuto uscire su etichetta un album come quello degli Atelier Vidcoq? Diciamocelo subito, qui non siamo di fronte a un prodotto di facile e radiofonico consumo. L'album si snoda in 12 brani per una durata complessiva di un'ora e mezza. Ha dei tratti chiaramente "letterari", nei testi, dovuti alla presenza di F.K., e un incedere musicale da concept album degli anni 70.Gli stili, le evocazioni e i rimandi che io, che non sono un critico musicale ma solo un appassionato di musica elettronica ho potuto appurare sono dei più svariati, spesso proposti in contrapposizione.

Potremmo dividere l'album per stringhe, identificando l'ossatura coi tre brani di durata "fuori commercio", che sono "The Skyscrapers" (18 minuti), "Abraham come back" (21 minuti) e "Gli umanoidi" (16 minuti).

Seguono i brani più dichiaratamente sperimentali, come "Il duo infernale", "Sotto il vulcano", "Houdini dreaming", "Piranha paura" e "La notte, il cosmo".

E quindi quelli che qualsiasi produttore musicale, trovatosi di punto in bianco di fronte all'offerta degli A.V ., avrebbe indicato come i brani che sarebbero potuti essere dei singoli anche per palati meno raffinati, e che forse gli avrebbe suggerito di continuare solo e in quella sola direzione. Sto parlando di "Vidocq racing", che apre l'album, di "Berlin unter den linden", a mio parere il vero singolo dell'album, "Sinistro" e "Oblio". Della durata media di circa quattro minuti, i brani si fanno apprezzare per la loro semplice bellezza, per il fatto di non voler troppo turbare l'ascoltatore."Berlin unter den linden", per esempio, col suo incedere fricchettone alla daft punk, col vocale che richiama l'ultimo Lynch dalla voce campionata, soprattutto nel ritornello, si fa amare immediatamente, facendoci respirare un'aria mittleuropea.Anche "Sinistro", perlomeno per quanto riguarda chi scrive, ha un vago sentore Daft Punk, ma l'ultimo, quello più funk. Lo sviluppo di "Oblio", sia nel cantato, sia nei cori, sia nella musica, si propone come un altro brano dall'ascolto immediato, se qualcosa di immediato ci può essere negli A.V.

Perché qui subentra quello che dicevamo all'inizio, la liberta artistica di due autori che, nel complesso, vanno a sfidare più di una regola, attinendosi a quello che è il loro sentire, e proponedoci, nei tre lunghi brani che da soli potrebbero essere un disco, quello che gli A.V. si propongono.

Una commistione di generi, certo, una proposta radicale e psichedelica, con reminescenze trip hop, una forza controllata che vuole stupire, ammaliare, non lasciare mai tranquillo l'ascoltatore.

Dei tre lunghi brani, che meriterebbero ognuno una dettagliata analisi, quello che mi ha convinto di più è senza dubbio "The Skyscrapers".

Certo, anche "Gli umanoidi" ci racconta una storia di "disumanizzazione", articolandola per tutti i suoi 16 minuti, alternando diverse atmosfere, sia nella parte parlata o cantata, sia nella parte musicale. Si inizia in materia futuristica, su un giro alla Kraftwerk, su cui sale un tappeto in stile trip hop che apre a un'atmosfera cupa e rarefatta, dove K. si lancia in una dissertazione carica di agonia, fino al a un crescendo che incita "vieni con noi". Non sarà l'unico crescendo all'interno del pezzo. Dopo una parte quasi gospel, il brano ricomincia a prendere lentamente d'intensità, alternando ancora fasi "dance" e ritmi sincopati a momenti d'atmosfera che mettono in chiaro senza mezzi termini gli intenti psichedelici e sperimentali del duo.

E non potremo non rivedere le atmosfere acide di Wendy Carlos (Arancia Meccanica, a mio avviso un'influenza sempre presente nel disco) nel valzer arabeggiante di "Abraham come back", col suo intermezzo sinfonico lisergico, che si risolve ancora in un finale trip hop i cui ritmi richiamano alla mente i momenti dance dei genovesi "Port Royal".

Ma entrambi i pezzi non raggiungono la narrativa del vero e proprio viaggio psichedelico (mi si perdoni l'espressione) che riesce a tenere viva per tutta la sua durata "The skyscrapers". Il brano inizia in un'atmosfera alla Goblin, che tornerà nel finale, come a risvegliarci da un lungo sogno. Ci sembra di atterrare in aereo in una città che potrebbe essere Dubai, New York, o più probabilmente Milano, e di cominciare a viaggiare nella notte attravero party post aperitivo o nottate lounge sopra terrazze illuminate dai neon, in un'atmosfera da Frankie goes to hollywood se a cantare avessero avuto un Gaber o forse, più propriamente, un Battiato ubriaco, (anche Lindo Ferretti, a volte, viene alla mente, nel cantare di K.) per essere di volta in volta nuovamente scaraventati in strada, nei boulevard di una Christiana F post 11 settembre, ma è solo un altro passaggio di questo brano infernale, dove ci aspetta l'ultimo pesantissimo night club, dove sembra di vedere i drinks col ghiaccio che va sciogliendosi, e alla fine pare attenderci un Ian Brown post Stone Roses con un calice di veleno in mano e una fotografia di Grace Jones nell'altra.

Dunque un album non per tutti, (anche se cresce la curiosità di sentirli dal vivo, dove potrebbero suonare? Su una terrazza a Milano durante il party di una serata di Cavalli? A una festa del magazine Vice? O in una serata per scambisti? In un night club? In una libreria?)una sperimentazione sonora davvero al limite, registrata con una qualità ottima, ma anche un'opportunità, come dicevamo, di poter apprezzare ancora qualcosa di puramente "artistico" e originale in un panorama che ci suggeriscono asfittico, ma che comunque offre continue porte scorrevoli che affacciano su mondi che difficilmente lasciano indifferenti.

Come il mondo degli A.V., che vi consiglio di frequentare.

Atelier Vidocq a Voltorre nel Chiostro medievale

Costruito tra il 1100 e il 1150, in un luogo di forte passaggio di pellegrini e viandanti, il complesso fu decorato dallo scultore locale Lanfranco da Ligurno ed in seguito affidato alla gestione dei Benedettini.

Nella prima metà del tredicesimo secolo, periodo di massimo splendore del Chiostro, numerosi laici affiancarono i frati che lavoravano nel monastero. Verso la fine del 1700 il governo francese mise in vendita l’intero complesso che perse la sua unitarietà diventando residenza rurale e deposito di attrezzi agricoli.
Dopo quasi un secolo alcuni esponenti del mondo della cultura si accorsero dell’importanza storico-artistica del sito e avviarono una campagna di restauri.
Nel 1978 la Provincia di Varese acquistò il Chiostro, iniziando una serie di grandi lavori di ristrutturazione che saranno ultimato con il ripristino della chiesa dedicata a San Michele Arcangelo, cui i Longobardi erano devoti.
Il primo edificio sacro risale al V-VI secolo. Nell’undicesimo secolo fu realizzata la piccola chiesa romanica successivamente modificata tra il 1600 e il 1700, anni cui risalgono le raffinate decorazioni in stucco e gli affreschi a tromp-l’oeil; interessante è la pala sovrastante l’altare maggiore, rappresentante San Michele Arcangelo.
All’esterno, sopra il complesso, si erge il massiccio campanile del dodicesimo secolo, alleggerito nella volumetria da alcune feritoie e da un’ampia cella campanaria.
Oggi il chiostro, completamente restaurato, è sede di attività culturali ed espositive legate all’arte contemporanea.

Gli Atelier Vidocq fondono la loro arte musicale contemporanea in questo luogo senza tempo dove si incontrano passato e futuro in una performance interdisciplinare con il pittore varesino Max Fontana.

New release in all digital stores.

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